mercoledì 10 luglio 2013

Birimboi

Dal bordo del pendio, in mezzo all’erba alta, sentì la voce caprina di Salvatore. 
L’erba di quel maggio piovoso gli copriva il corpo fino al petto. Indovinò le  braccia troppo lunghe che spuntavano dal velluto consumato, gli occhi bovini e il porro peloso, che ne facevano uno strano mimetismo. Come ogni mattina si univa alle greggi che si richiamavano. Le voci si riconoscevano  e  si rincorrevano, richiamandosi in contrappunti e  armonie, solo e lontano, il  bianco belato dell’agnello perduto.
 Il vento, entrandogli  nel torace, vi faceva giravolte e piroette e  usciva portando l’eco della terra che aveva sepolto,  il latrare dei silenzi di cui si era saziato, il rantolo della zolla spezzata. 
E le greggi gli rispondevano, da lontano, in un chiosare di voci,  un contradditorio sonoro di toni e semitoni  che si interrompeva appena la donna arrivava in vista. 
Perché sarà tornato, si chiedeva, ma in fondo  lo sapeva, solo perché non si notasse quell’ assenza tra le quattro pietre, solo per l’effrazione del silenzio in mille rivoli di note.
Benché non  fosse certa, qualche volta, arrivando all’improvviso, le era sembrato che Salvatore, saltando oltre il muro, nascondesse la coda caprina e lo zoccolo di corno; un attimo e ritornava pietra,  sparendo tra umidità dei muschi. Ne restava l’incredulità del miraggio. 
Con la mano sinistra sul ginocchio sinistro  e quella destra sotto il mento, a occhi socchiusi, l’ uomo sorvegliava greggi di malva e ortica selvatica, tenendo sospeso dentro la gola un bolo erbaceo ruminato, che gli riempiva di nero  il cavo della bocca.

 Si addormentava così, Salvatore, con quell’ amaro dentro, sognando le sue stelle. “Tu scendi dalle stelle”, gli dicevano, per quel corpo invadente che fuoriusciva dal velluto, per  quell’ altezza eccessiva, che nessun abito sembrava contenere.  Da  quelli stolti che mai, mai seppero, che sulle stelle, lui si, ci saliva sul serio.

https://www.youtube.com/watch?v=xSSWrZ_4xb4